Il Maestro Sacconi
nella testimonianza del violinista
Renato Zanettovich


Trieste, 7 giugno 1985


Ho conosciuto Sacconi, per la prima volta, durante il mio primo viaggio in America, nel 1948. Era stato Mario Corti a esortarmi ad andare a conoscerlo. Appena arrivato a New York, quindi, ho salito le scale di quel palazzo della 57a Strada, adiacente alla Carnegie Hall, dove Sacconi, allora, lavorava per la Casa Herrmann. 

Quando il Maestro incontrava un italiano si illuminava e si commuoveva (credo fosse grande la nostalgia per il suo paese). Fu così che accolse anche me; con la più grande cordialità, interessandosi vivamente del mio lavoro (il Trio di Trieste faceva la sua prima tournée americana) e del mio strumento che, allora, era un violino fiorentino del '700, un Bimbi.

Vista la tastiera piuttosto solcata si mise subito al lavoro, di sua iniziativa, e mi consegnò lo strumento nel pomeriggio stesso. Me ne stavo là, ad osservare come un uomo così importante s'interessasse tanto vivamente a uno strumento, diciamo, di terza categoria (e pensare che dal soffitto pendevano, posti quasi con noncuranza, un paio di Stradivari, Guarneri, Guadagnini, e altro) e desse peso a un giovane concertista che incominciava appena la carriera; e proprio in quel momento vidi entrare Milstein: era venuto per mettere a punto la macchinetta del Mi sul suo Stradivari. Quando scesi le scale dopo aver lasciato l'atelier, Milstein commentò: "Sacconi, a Master!"

Durante ogni tournée americana amavo rinnovare le mie visite a Sacconi; quando Herrmann si ritirò dagli affari andavo a trovarlo da Wurlitzer; lasciavo degli archi da incrinare, mi ero anche fatto fare l'expertise per un Carlo Giuseppe Testore che avevo acquistato a un'asta a Londra. Mi rivedeva sempre tanto volentieri e sempre con il fervore che gli era abituale, come se ci fossimo lasciati il giorno precedente.

Lo reincontrai alla fine degli anni '60 a Cremona, quando stava tenendo dei corsi di liuteria; andai con il mio collega Baldovino per mostrargli un violino che trovammo a Londra: un Guarneri del Gesù di eccezionale bellezza di suono; eravamo però incerti sulla autenticità dello strumento. Sacconi lo esaminò con molta cura e disse che si trattava proprio di un Guarneri del Gesù, riconoscibile, anche, da una piccola punta d'ebano che Guarneri usava inserire internamente sul fondo per segnare il punto di spessore massimo del legno.

Ancora una volta incontrai Sacconi a Cremona, qualche anno dopo, assieme al compianto ingegner Paolo Peterlongo che desiderava fargli mettere a punto lo Stradivari Fontana (ex Oistrakh), violino che faceva parte di quella sua collezione che tutti conoscono. Violino stupendo che ho avuto occasione spesso di suonare e che dopo quella messa a punto risultò meno facile, ma molto più brillante.

Penso che per quanto riguarda la conoscenza degli strumenti e del loro restauro in particolare Sacconi sia stato, forse, l'uomo più importante che abbia avuto il mondo della liuteria in questi ultimi decenni. Tanta sapienza veniva illuminata da un preziosissimo atteggiamento umano. Era una persona disinteressata al massimo e con un amore per il proprio lavoro assolutamente raro. Osservare la sua gioia alla vista di un bello strumento era veramente un piacere. 

Voglio sperare che quanto lui ha seminato attraverso i suoi vari e numerosi allievi possa dare dei frutti in avvenire.

Trieste, 7 giugno 1985

Tratto dal libro: «Dalla liuteria alla musica: l’opera di Simone Fernando Sacconi», presentato il 17 dicembre 1985 alla Library of Congress di Washington, D.C. (Cremona, ACLAP, prima edizione 1985, seconda edizione 1986, pagg. 268-269 - Italian / English).